gruppo di speleologi |
Qualche ritardatario
ha innervosito l'atmosfera, già agitata dal meteo e dal fatto che
stavolta non è più un’uscita propedeutica alla speleologia; Il
ritardatario naturalmente sono io e onestamente temo che qualcuno del
gruppo prima o poi, una volta scesi, mi incatenatenerà in qualche
galleria non ancora accatastata.
Ci cambiamo per
entrare, ma il momento sensuale e rilassante del cambio abiti diventa
un veloce cambio di scena: da “ritardatari vi odio” a “eroi
degli abissi”. E’ tardi.
E' la mia prima
uscita dopo il corso, la seconda al Corchia, la terza che mi
dimentico qualcosa (le batterie!). Cazzo, nel kit preso al volo manca
anche il discensore! Ok, risolto.
Ma ragionare di
screzi e meteo lascia il tempo che trova, o il tempo lascia screzi e
meteo fuori dalla grotta, quindi andiamo ai fatti.
Turistico.
La caverna si
presenta pacchianamente decorata a cartolina, deformata da luci
accuratamente posizionate per lo show e da una sicura passerella che
protegge(?) dalla montagna; solo l’acqua sembra ribellarsi al
cattivo gusto: cade sulla tettoia in plexiglass (orrendo paraacqua
per turisti) e sembra volerla distruggere, allaga qualche parte qua e
là, ma soprattutto fa un gran casino.
Finalmente dopo la
lunga marcia in fila longobarda, fra concrezioni innaturalmente
illuminate a giorno, scavalchiamo la ringhiera e ci dirigiamo verso
il pozzo Susanne ed è lì che comincia l’avventura di oggi.
Pozzo Susanne.
le buone maniere in grotta |
Qualcuno di noi (dei
neofiti della grotta intendo) è preoccupato,
dobbiamo fare una
discesa in corda per venti metri, in mezzo agli spruzzi della cascata
d’acqua che scende giù dal pozzo e ci bagneremo sicuramente; la
preoccupazione la si può vedere in alcuni volti pallidi che si
celano dietro un freddo che si fa già sentire. Un paio di occhiali
da sole ci osserva dalla roccia, l’acqua li ha portati lì, ad
altezza uomo come per dare un volto all’inanimato. Spiritosa. E’
piuttosto freddo e umido e in attesa che venga armato il pozzo ci
abbandoniamo a vaghe chiaccherate sul tempo, i teletubbies e la
contabilità, immersi nel rumore assordante dell’acqua che sembra
aumentare. Scendono dal pozzo i primi tre ( o quattro?), poi arriva
un cambio d’armo del veterano.
Piccola parentesi:
il veterano speleologo è un tipo particolarmente attrezzato, uno di
quelli che ha un sacco apparentemente normale che può contenere
tanti strumenti utilissimi o vetusti, in quantità smodata e secondo
l’occasione; il più delle volte, il veterano,
risponde alla razza
dei Biagi o dei Ricci.
Insomma, il nostro
Biago personale, che per l’occasione s’offre anche come
supervisore di speleopulli, tira fuori corda portatile, qualche
moschettone, e brandisce in aria oggetti misteriosi finché con
eleganza di Zebra si àncora ad uno sperone e riarma in un modo
complesso una discesa più semplice o viceversa. Appena pronto l’armo
nuovo, gli speleopulli rimasti si calano.
Arriviamo sul fondo
del pozzo e siamo (come lasciava presagire la cascata sul Susanne)
bagnati, gli ultimi più dei primi ma i primi più infreddoliti degli
ultimi.
Due parole tecniche
sulla discesa: la corda bagnata scorre male nel discensore, brusche
accelerate e arresti improvvisi, tranne che per il discensore
dell’eventuale Riccia presente (della razza dei Ricci ecc.).
G. Ribaldone.
Eccoci nella
galleria che porta verso il ramo del Giglio, googlando sembra si
chiami G. Ribaldone ma non ho capito bene se G stia per Galleria, per
Gianni, Giovanni, Giada o Giulietta.
Attraversiamo il
primo tratto fino ad arrivare ad una sala grande, i
l fondo di un
pozzo dalle pareti alte e lisce che si perdono nell’infinito. Ci
troviamo lì io e Olindo e ci fermiamo guardando in alto e comincio:
«...Beh, secondo me si è spaccata la montagna eppoi per
dissoluzione delle... sono scivolati...» e indico e piego la testa,
misuro con il pollice e l’indice davanti a me un punto imprecisato
poi Olindo: «...ok, andiamo, siamo rimasti indietro».
Qualcuno in galleria
comincia a lamentare di essersi bagnato parecchio, ma non passa
qualche minuto che ci troviamo in un pertugio particolarmente basso,
attraversato da un ruscello con cascatina intermedia e finale e dopo
questo passaggio lo sporadico lamento della galleria diventa un coro
di voci strozzate: tutti bagnati fino alle mutande. Ma non è ancora
finita; poco dopo, due metri di corda per risalire un piccolo corso
zampillante e così completiamo il davanti delle mutande. Finalmente
siamo veramente torsi.
Nota per le prossime
righe: a causa del freddo e dell’acqua i ricordi narrati potrebbero
essere edulcorati o in ordine temporale/spaziale scomposto.
R. del Giglio
Ecco, a differenza
della googlata del paragrafo precedente ho capito: qui la R sta per
Rizoma. Quindi ci addentriamo nel Rizoma del Giglio. La galleria si
fa subito dura, salita, si scivola! ecchìnati! attento alle preziose
concrezioni che ci hanno messo un milione di anni! Mi sento un
elefante in cristalleria, precisamente uno di quelli indiani con il
baldacchino, ma io ho il sacco. Prendo quindi la scia a qualche
compagno per faticare meno, quello se ne accorge e si ferma ad
ammirare una cannula, ma siamo già a fine salita e le cannule sono
una colonia: belle da togliere il fiato come sempre, gocciolano dal
soffitto delicate, glaciali e malinconiche nella loro solitudine di
colonia eterna. Finito il momento estatico, più avanti, troviamo un
laghetto “scecco” con pavimentazione a blocchi di fango indurito.
Olindo a questo punto mi dà la risposta ad una sua domanda: «cazzo
sei duro, c’era un laghetto qui, non vedi ? L’acqua arrivava fin
là, c’è ‘l segno» e io penso: «pare Vagli, stalagmiti come
piccoli campanili, blocchi di terra secca, mancano solo i
pellegrini», ma i pellegrini siamo noi ed è ora di riunirci insieme
e di mettere qualcosa nello stomaco.
Breve appunto: il
ramo del Giglio è parecchio ripido e basso, ricordarsi in questi
casi di lasciare il sacco a qualcun altro prima dell’imbocco della
salita. Occhio alla testa!
Pranzo al Rizoma(?)
del Giglio.
Quasi al termine del
ramo ci fermiamo, c’è una saletta confortevole e raccolta, con
sabbia a terra e volta bassa, per l’appunto sembra una mangiatoia e
noi mangiamo. Le chiacchere si mescolano ai panini, al tè, al caffè,
ai dolcetti al cioccolato e al nauseabondo odore di carburo
(romantico un cazzo aggiungerei). L’atmosfera conviviale fa
riscaldare i cuori ma non è sufficiente per asciugare i piedi
bagnati, così ci rialziamo e un po’ in disordine scendiamo coi
sacchi in spalla, non prima però di aver visitato il prezioso
laghetto (Lucia?) che sembra profondo ma è solo l’illusione delle
stalattiti riflesse, direi che si potrebbe definire il pistillo
fecondo che viene dopo il rizoma.
P. del Pendolo.
La P puntata in
questo caso è chiara: sta per Posto.
E’ l’ora che gli
eroi degli abissi tornino indietro e i nostri pensieri, o almeno i
pensieri degli speleopulli, si rivolgono a Susanne e alla cascata che
ci aspetta in risalita. Scendiamo dal Rizoma ma ci troviamo subito di
fronte ad un dilemma: tornare il prima possibile alla faticosissima
risalita in cascata o fare un salto al Pozzo del Pendolo? Io non ho
dubbi: più ritardiamo Susanne meglio mi potrò preparare
psicologicamente. Così il gruppone in discesa si spezza in due
tronconi, chi continua per la risalita e chi sale per continuare
verso il Pendolo. Ci salutiamo distrattamente e ognuno per sé.
Riccia e Crecori
sfrecciano in salita sulla sinistra e noi pulli li seguiamo
arrancando. La galleria che percorriamo è molto più grande della
precedente. Ma fermi tutti! eccentriche! In grotta c’è sempre una
pausa per godersi lo spettacolo delle eccentriche, poi lo stupore si
aggiunge all’estasi: un insetto morto spiaccicato proprio sulla
concrezione! Non sono mai stato così commosso per un insetto morto,
foto veloce e subito partono domande sul “come”, “da dove”,
“perché” e le ipotesi “trasportato”, “da sopra”, “acqua”
ma la conversazione cade per eccesso di noia e proseguiamo.
Il percorso verso il
Posto ha tratti più o meno bassi finché non arriviamo ad una corda
nel bel mezzo di un canale e per la regola matematica bagnati per
bagnati uguale bagnati e freddo per freddo uguale a freddo impavidi
come veri eroi agganciamo il croll e risaliamo. Dopo è di nuovo
caverna qualche curva, un canale in discesa e alla fine il pozzo.
Qui mi fermo con il
racconto, fin troppe parole han tediato i lettore. Forse il
componimento verrà completato quando i ricordi si faranno più
nitidi.
Concludo solo con
l’uscita: una birra e due patatine dalla Piera, qualche discorso
sul più e il meno e la consapevolezza di non essere più uno pullo
indifeso.
Adesso mi sento un
bel Merlo.
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