domenica 12 giugno 2016

Corchia 2 Giugno 2016, ovvero: amo Levigliani.

gruppo di speleologi
Piove, di quella pioggia insistente tipica dell'autunno, ma è il 2 Giugno ed è quasi estate. Le curve per arrivare a Levigliani sono come sempre a gomito o meglio a «vomito» o «'rgòm'to» come dice qualcuno che soffre il mal d'auto.
Qualche ritardatario ha innervosito l'atmosfera, già agitata dal meteo e dal fatto che stavolta non è più un’uscita propedeutica alla speleologia; Il ritardatario naturalmente sono io e onestamente temo che qualcuno del gruppo prima o poi, una volta scesi, mi incatenatenerà in qualche galleria non ancora accatastata.
Ci cambiamo per entrare, ma il momento sensuale e rilassante del cambio abiti diventa un veloce cambio di scena: da “ritardatari vi odio” a “eroi degli abissi”. E’ tardi.
E' la mia prima uscita dopo il corso, la seconda al Corchia, la terza che mi dimentico qualcosa (le batterie!). Cazzo, nel kit preso al volo manca anche il discensore! Ok, risolto.
Ma ragionare di screzi e meteo lascia il tempo che trova, o il tempo lascia screzi e meteo fuori dalla grotta, quindi andiamo ai fatti.

Turistico.
La caverna si presenta pacchianamente decorata a cartolina, deformata da luci accuratamente posizionate per lo show e da una sicura passerella che protegge(?) dalla montagna; solo l’acqua sembra ribellarsi al cattivo gusto: cade sulla tettoia in plexiglass (orrendo paraacqua per turisti) e sembra volerla distruggere, allaga qualche parte qua e là, ma soprattutto fa un gran casino.
Finalmente dopo la lunga marcia in fila longobarda, fra concrezioni innaturalmente illuminate a giorno, scavalchiamo la ringhiera e ci dirigiamo verso il pozzo Susanne ed è lì che comincia l’avventura di oggi.

Pozzo Susanne.

le buone maniere in grotta
Qualcuno di noi (dei neofiti della grotta intendo) è preoccupato, 
dobbiamo fare una discesa in corda per venti metri, in mezzo agli spruzzi della cascata d’acqua che scende giù dal pozzo e ci bagneremo sicuramente; la preoccupazione la si può vedere in alcuni volti pallidi che si celano dietro un freddo che si fa già sentire. Un paio di occhiali da sole ci osserva dalla roccia, l’acqua li ha portati lì, ad altezza uomo come per dare un volto all’inanimato. Spiritosa. E’ piuttosto freddo e umido e in attesa che venga armato il pozzo ci abbandoniamo a vaghe chiaccherate sul tempo, i teletubbies e la contabilità, immersi nel rumore assordante dell’acqua che sembra aumentare. Scendono dal pozzo i primi tre ( o quattro?), poi arriva un cambio d’armo del veterano.
Piccola parentesi: il veterano speleologo è un tipo particolarmente attrezzato, uno di quelli che ha un sacco apparentemente normale che può contenere tanti strumenti utilissimi o vetusti, in quantità smodata e secondo l’occasione; il più delle volte, il veterano, 

risponde alla razza dei Biagi o dei Ricci.
Insomma, il nostro Biago personale, che per l’occasione s’offre anche come supervisore di speleopulli, tira fuori corda portatile, qualche moschettone, e brandisce in aria oggetti misteriosi finché con eleganza di Zebra si àncora ad uno sperone e riarma in un modo complesso una discesa più semplice o viceversa. Appena pronto l’armo nuovo, gli speleopulli rimasti si calano.
Arriviamo sul fondo del pozzo e siamo (come lasciava presagire la cascata sul Susanne) bagnati, gli ultimi più dei primi ma i primi più infreddoliti degli ultimi.
Due parole tecniche sulla discesa: la corda bagnata scorre male nel discensore, brusche accelerate e arresti improvvisi, tranne che per il discensore dell’eventuale Riccia presente (della razza dei Ricci ecc.).

G. Ribaldone.

Eccoci nella galleria che porta verso il ramo del Giglio, googlando sembra si chiami G. Ribaldone ma non ho capito bene se G stia per Galleria, per Gianni, Giovanni, Giada o Giulietta.
Attraversiamo il primo tratto fino ad arrivare ad una sala grande, i
l fondo di un pozzo dalle pareti alte e lisce che si perdono nell’infinito. Ci troviamo lì io e Olindo e ci fermiamo guardando in alto e comincio: «...Beh, secondo me si è spaccata la montagna eppoi per dissoluzione delle... sono scivolati...» e indico e piego la testa, misuro con il pollice e l’indice davanti a me un punto imprecisato poi Olindo: «...ok, andiamo, siamo rimasti indietro».
Qualcuno in galleria comincia a lamentare di essersi bagnato parecchio, ma non passa qualche minuto che ci troviamo in un pertugio particolarmente basso, attraversato da un ruscello con cascatina intermedia e finale e dopo questo passaggio lo sporadico lamento della galleria diventa un coro di voci strozzate: tutti bagnati fino alle mutande. Ma non è ancora finita; poco dopo, due metri di corda per risalire un piccolo corso zampillante e così completiamo il davanti delle mutande. Finalmente siamo veramente torsi.
Nota per le prossime righe: a causa del freddo e dell’acqua i ricordi narrati potrebbero essere edulcorati o in ordine temporale/spaziale scomposto.

R. del Giglio

Ecco, a differenza della googlata del paragrafo precedente ho capito: qui la R sta per Rizoma. Quindi ci addentriamo nel Rizoma del Giglio. La galleria si fa subito dura, salita, si scivola! ecchìnati! attento alle preziose concrezioni che ci hanno messo un milione di anni! Mi sento un elefante in cristalleria, precisamente uno di quelli indiani con il baldacchino, ma io ho il sacco. Prendo quindi la scia a qualche compagno per faticare meno, quello se ne accorge e si ferma ad ammirare una cannula, ma siamo già a fine salita e le cannule sono una colonia: belle da togliere il fiato come sempre, gocciolano dal soffitto delicate, glaciali e malinconiche nella loro solitudine di colonia eterna. Finito il momento estatico, più avanti, troviamo un laghetto “scecco” con pavimentazione a blocchi di fango indurito. Olindo a questo punto mi dà la risposta ad una sua domanda: «cazzo sei duro, c’era un laghetto qui, non vedi ? L’acqua arrivava fin là, c’è ‘l segno» e io penso: «pare Vagli, stalagmiti come piccoli campanili, blocchi di terra secca, mancano solo i pellegrini», ma i pellegrini siamo noi ed è ora di riunirci insieme e di mettere qualcosa nello stomaco.
Breve appunto: il ramo del Giglio è parecchio ripido e basso, ricordarsi in questi casi di lasciare il sacco a qualcun altro prima dell’imbocco della salita. Occhio alla testa!

Pranzo al Rizoma(?) del Giglio.

Quasi al termine del ramo ci fermiamo, c’è una saletta confortevole e raccolta, con sabbia a terra e volta bassa, per l’appunto sembra una mangiatoia e noi mangiamo. Le chiacchere si mescolano ai panini, al tè, al caffè, ai dolcetti al cioccolato e al nauseabondo odore di carburo (romantico un cazzo aggiungerei). L’atmosfera conviviale fa riscaldare i cuori ma non è sufficiente per asciugare i piedi bagnati, così ci rialziamo e un po’ in disordine scendiamo coi sacchi in spalla, non prima però di aver visitato il prezioso laghetto (Lucia?) che sembra profondo ma è solo l’illusione delle stalattiti riflesse, direi che si potrebbe definire il pistillo fecondo che viene dopo il rizoma.

P. del Pendolo.
La P puntata in questo caso è chiara: sta per Posto.
E’ l’ora che gli eroi degli abissi tornino indietro e i nostri pensieri, o almeno i pensieri degli speleopulli, si rivolgono a Susanne e alla cascata che ci aspetta in risalita. Scendiamo dal Rizoma ma ci troviamo subito di fronte ad un dilemma: tornare il prima possibile alla faticosissima risalita in cascata o fare un salto al Pozzo del Pendolo? Io non ho dubbi: più ritardiamo Susanne meglio mi potrò preparare psicologicamente. Così il gruppone in discesa si spezza in due tronconi, chi continua per la risalita e chi sale per continuare verso il Pendolo. Ci salutiamo distrattamente e ognuno per sé.
Riccia e Crecori sfrecciano in salita sulla sinistra e noi pulli li seguiamo arrancando. La galleria che percorriamo è molto più grande della precedente. Ma fermi tutti! eccentriche! In grotta c’è sempre una pausa per godersi lo spettacolo delle eccentriche, poi lo stupore si aggiunge all’estasi: un insetto morto spiaccicato proprio sulla concrezione! Non sono mai stato così commosso per un insetto morto, foto veloce e subito partono domande sul “come”, “da dove”, “perché” e le ipotesi “trasportato”, “da sopra”, “acqua” ma la conversazione cade per eccesso di noia e proseguiamo.
Il percorso verso il Posto ha tratti più o meno bassi finché non arriviamo ad una corda nel bel mezzo di un canale e per la regola matematica bagnati per bagnati uguale bagnati e freddo per freddo uguale a freddo impavidi come veri eroi agganciamo il croll e risaliamo. Dopo è di nuovo caverna qualche curva, un canale in discesa e alla fine il pozzo.
Qui mi fermo con il racconto, fin troppe parole han tediato i lettore. Forse il componimento verrà completato quando i ricordi si faranno più nitidi.
Concludo solo con l’uscita: una birra e due patatine dalla Piera, qualche discorso sul più e il meno e la consapevolezza di non essere più uno pullo indifeso.


Adesso mi sento un bel Merlo.




Nessun commento:

Posta un commento